Legendary Player: il 2006 da sogno di Cannavaro
In Sala Scudetto è tempo di passare il microfono ai grandi campioni del passato. Sul palco sale Fabio Cannavaro, Capitano della Nazionale Campione del Mondo e Pallone d’Oro 2006, intervistato da Lorenzo Dallari, Direttore Editoriale della Serie A. Rivedi l'intervista, clicca qui! L’ex difensore ripercorre con emozione la stagione che lo ha reso leggenda: il 2006, l’anno in cui ha guidato l’Italia alla vittoria del Mondiale e ha conquistato il riconoscimento individuale più prestigioso per un calciatore.
Napoli: le radici e il sogno
“Facevo il raccattapalle al San Paolo, ho vissuto i festeggiamenti del primo Scudetto con Maradona. Il Centro Paradiso era la mia casa: ci respiravi l’aria della prima squadra. È stato un motivo di grande orgoglio riacquistarlo dopo 15 anni: lì si allenava il più forte della storia.” “Indossare la maglia del Napoli è stato un orgoglio per tutta la mia famiglia e il mio quartiere. È stata un’esperienza breve per problemi societari, ma fondamentale: è lì che ho conosciuto Marcello Lippi. All’inizio non mi faceva giocare, pensavo di finire all’Acireale, poi mi diede un’occasione... e non sono più uscito dal campo.”
Il calcio italiano che fu
“Ho avuto allenatori diversi, ognuno con la sua filosofia: Lippi, Ranieri, Ancelotti. Con Ancelotti passai dalla marcatura a uomo alla zona. La marcatura a uomo ti insegnava la 'cazzimma', il corpo a corpo. Con la zona, invece, era più facile trovare i tempi giusti e segnare di testa.” “Col VAR avrei concesso più gol, ma all’epoca il livello era altissimo: anche in provincia c’erano attaccanti che ti mettevano in difficoltà, come Lucarelli o Protti al Livorno. Il ruolo del difensore oggi è cambiato, è il primo a impostare. Ma un tempo si diceva: ‘con gli attaccanti vendi i biglietti, coi difensori vinci le partite’.”
Dal Parma alla Juventus passando per l’Inter
“A Parma ho vissuto anni fantastici, il club era un punto di riferimento. Peccato non aver vinto lo scudetto: ci mancò quel pizzico di pressione che hanno le grandi squadre. Malesani era un visionario, proponeva un calcio moderno fatto di costruzione dal basso, riconquista rapida, possesso.” “L’Inter è stata una bella esperienza, siamo arrivati in semifinale di Champions, ma è stato un periodo complicato. Mi infortunai subito, poi decisi comunque di andare all’Europeo e persi forza. Le aspettative erano tante, ma non le ho abbiamo pienamente rispettate. Dopo l’Europeo capii che dovevo fermarmi... e tornai al massimo.” “Il passaggio alla Juve fu inaspettato, ma Capello mi diede fiducia. Ritrovai Buffon e Thuram, con cui avevo già un'intesa consolidata a Parma. Conoscevamo i nostri limiti, Lilliam mi permetteva di salire, io dovevo stare attento alle rimesse laterali di sera, perché lui portava le lenti e non ci vedeva. Con Buffon alle spalle potevi rischiare di più. Abbiamo fatto due anni spettacolari, avevamo una difesa fortissima. Peccato anche in questo caso solo per la Champions che ci è mancata.”
Real Madrid: la sfida più dura
“I primi mesi al Real furono duri. Ero abituato a difendere di reparto, mentre lì era tutto individuale. Il baricentro era altissimo, spesso ero da solo. Una filosofia completamente diversa. Ma poi vincemmo una Liga incredibile: da -7 sul Barça, la ribaltammo e la portammo a casa all’ultima giornata. Una delle più belle mai vinte dai Blancos.” “Capello fu fondamentale. E il Bernabeu... uno stadio che percepisce tutto. Se sei in difficoltà, è come un’onda che ti solleva. Soprattutto in Champions: i tifosi sanno che non si può sbagliare e la loro pressione è positiva”.
Mondiale 2006: Berlino, la leggenda
“Berlino ci ha reso leggende. Vincere il Mondiale ti cambia la vita. La finale fu la mia centesima presenza in Nazionale. Peccato che l’Italia, in 20 anni, non sia più riuscita a ripetersi. Si è persa la grandezza del nostro calcio. Si lavorava di più con gli istruttori nel settore giovanile e si riusciva a produrre talenti. “In quell’Italia, essere capitano era facile. Lippi aveva le idee chiare e c’erano tanti leader. Dal primo giorno a Coverciano sapevamo cosa fare. Sapevamo che era l’ultima chance per la nostra generazione. Avevo paura della Francia, ci aveva eliminato nel ’98 e a Euro 2000... ma alla fine, sollevare quella Coppa è stato il massimo.”
Pallone d’Oro: il sogno oltre ogni sogno
“All’inizio pensavo fosse uno scherzo. Anche se venivo da due stagioni incredibili con la Juve, non ci credevo. La testata di Zidane a Materazzi fu un episodio chiave: influenzò il voto, al di là della mia prestazione perfetta a Dortmund e del livello altissimo tenuto per tutto il Mondiale.” “Ci sono stati tanti difensori che lo avrebbero meritato, ma il Mondiale è stata una vetrina decisiva. Ho quel pallone a casa, vale doppio per un difensore.” “Il FIFA World Player mi ha gratificato ancora di più: era votato da capitani e allenatori. Quella è stata la ciliegina sulla torta.” “Non avevo il fisico da difensore centrale, ma ho costruito la mia carriera col sacrificio. Il mio sogno era giocare in A con la maglia del Napoli... sono andato oltre. Oltre ogni sogno.” L’evento si è chiuso con la consegna del premio Legendary Player da parte di Giammaria Manghi (Coordinatore delle politiche sportive della Regione Emilia-Romagna).
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